DUEMILA IMPRESE TREVIGIANE PROSEGUONO L’ATTIVITÀ

Hanno presentato istanza alla Prefettura: finora 90 "bocciate"
TREVISO – Circa duemila imprese trevigiane stanno proseguendo l’attività, nonostante non siano comprese nelle categorie direttamente citate dal decreto “Chiudi Italia”. Hanno infatti presentato istanza alla Prefettura, comunicando di svolgere lavorazioni complementari a filiere essenziali, come quella agroalimentare o quella biomedicale.Finora l’Ufficio territoriale del governo ha istruito circa un migliaio di pratiche: una novantina le domande “respinte”. Non ci sono, tuttavia, fanno sapere dalla Prefettura, veri e propri casi di “dolo”: oltre a chi ha consegnato una documentazione non completa, si tratta soprattutto di errori nell’interpretazione della normativa. Naturalmente vengono svolti tutti gli accertamenti del caso.A soffrire in modo particolare, in questo momento, è sopratttuto il mondo del commercio e del turismo. Non più del 15% delle ditte del settore sono operative, stima Confcommercio Treviso. “La situazione, ormai, diventa difficile anche dal punto di vista psicologico – nota il presidente dell’associazione degli imprenditori del terziario, Federico Capraro -. Comprendiamo il rinvio, perché purtroppo dobbiamo ancora raggiungere il picco dei contagi, e comprendiamo anche che alcune realtà ripartiranno prima e altre dopo, probabilmente seguendo l’ordine inverso delle chiusure. Ci sono, tuttavia, alcuni comparti in forte sofferenza e in lotta contro il tempo: in particolare, la moda, in ragione degli acquisti fatti per la stagione primavera estate. Poi, la ristorazione e il turismo: quello che ne ha risentito prima e che vede le prospettive di recupero molto più lunghe”.
Gli imprenditori chiedono, in primis, certezze sui sostegni al comparto, a fortissimo rischio di una pesante crisi di liquidità: “La dead line è rappresentata, per tutti, dall’ossigeno contenuto nella propria scorta di bombole. Se non c’è l’immissione di ulteriore ossigeno, esaurita quella riserva, purtroppo assisteremo alle chiusure, anzi alle non riaperture. E l’arco temporale è molto ristretto: la liquidità a disposizione delle imprese, è mediamente di un mese”. Un’urgenza che va passare in secondo piano anche la questione della data di riapertura: “Garantite ovviamente le condizioni di salute pubblica generale, prima si riapre meglio è. Che si riparta 15 giorni prima o 15 giorni dopo, però, c’è comunque bisogno di un sostegno di entità ben diversa rispetto alle misure attuali”, conclude Capraro.

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