Roma – Erano le 22.39 del 9 ottobre del 1963 quando 263 milioni di metri cubi di roccia si staccarono dal monte Toc precipitando nel bacino creato dalla diga del Vajont e sollevando un’ondata gigantesca, alta 260 metri, che causò la morte di quasi duemila persone. Sono passati dunque 55 anni da quell’immane disastro, e non sembra che il nostro Paese sia migliorato sul piano della prevenzione e della gestione del territorio e delle infrastrutture.
Gli allarmi che arrivavano da esperti e professionisti non furono inascoltati allora, ed oggi si fa altrettanto, devastando il territorio con il cemento e con la miopia politica. A ricordare tutto questo è oggi anche il Consiglio nazionale dei geologi, con le parole di Domenico Angelone, che sottolinea come già allora, gli studi geologici, ritenessero la realizzazione della diga uno sbagli, proprio per la fragilità dei versanti.
“Il Vajont ha segnato nella storia d’Italia un momento di svolta – osserva Angelone – esattamente come accadde con il terremoto dell’Irpinia del 1980 quando, lo stesso presidente Pertini evidenziò le gravissime carenze culturali, organizzative e programmatiche di un Paese che, in entrambe le vicende, si dovette vergognare di fronte alla popolazione mondiale. Una svolta che si è palesata timidamente con interventi normativi inadeguati e tardivi, seguendo più gli eventi dettati dallo scorrere del tempo che la consapevolezza di dover partire dalla conoscenza del territorio e dalle sue criticità”.
“Culturalmente – continua – siamo rimasti alle logiche del pre-Vajont, alle stesse logiche che tendono a rincorrere l’emergenza e ad apporre pezze ancora peggiori del buco che si vuole coprire. La mancanza di cultura geologica sia nelle istituzioni che nelle leggi che esse producono, costituisce il vero cancro del Paese, come testimoniano le ultime tragedie che hanno riguardato i recenti terremoti e le recentissime alluvioni, quando, come se non bastasse, si è palesata in maniera evidente la necessità di un approccio diverso al problema”.
“In Italia – aggiunge il segretario del Cng Arcangelo Violo – si continua a morire per un’alluvione, come è successo la scorsa settimana a San Pietro Lametino, in Calabria. C’è l’urgenza di avviare una svolta culturale in tema di prevenzione, basata sulla conoscenza degli scenari di rischio, sui sistemi avanzati di monitoraggio e sulla necessità di una corretta pianificazione delle attività di manutenzione. E’ anche necessario rivedere il sistema di allertamento, prevedendo automatismi tra i livelli di allerta e la fasi operative da attivare”.
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