PILLOLE DI GOLF/296 – CAMPI/22: GOLF CLUB ACQUASANTA

Alle porte di Roma, il più antico "green" d’Italia
ROMA – Ha oltre un secolo il Golf Acquasanta, è il più antico d’Italia, è prestigioso, ha segnato l’inizio del golf in Italia. Siamo nel 1885 quando alcuni amici inglesi pensano di realizzarlo. Trovano quella posizione superba che odora di eucalipto e di pino marittimo ai lati della via Appia tra orti e vigne accanto al mausoleo di Cecilia Metella e al Castrum Caetani, si accordano con il principe Torlonia proprietario di quell’agro alle porte di Roma, e studiano le basi per la fattibilità. Il primo documento che ne testimonia la presenza è datato 12 gennaio 1903: dispone le norme per fare un campo da golf a 9 buche, per le assemblee i soci si riuniscono al consolato britannico o degli Stati Uniti. I verbali vengono stesi in inglese, bisognerà attendere il 1930 per trovarli redatti in italiano.
La storia: alcuni diplomatici inglesi sostenuti da possidenti patrizi, desiderosi di avere a portata di mano lo svago del golf tanto praticato a casa loro, fondano il club, a cui danno il nome di Rome Golf Club. È la prima delle storie che si ripeteranno in seguito, per altri luoghi e Campi famosi.
Dopo qualche tempo, il nome viene cambiato in Circolo del golf di Roma dell’Acquasanta. Questo perché al suo interno vi è una fonte da cui sgorga un’acqua ferruginosa ritenuta salubre, avvolta nella leggenda legata al culto della ninfa Egeria. La leggenda era ancor più avvalorata dalla mitologia dell’antica Roma, fiorita sul fiume Almone, che attraversa i luoghi. Già la Roma primitiva, al tempo di Cristo, conosceva e apprezzava quell’acqua celebre per guarire le malattie dello stomaco. La citano Tito Livio e Ovidio nei loro scritti, ed è ancora perfettamente sfruttata ai giorni nostri. Prestando fede al millenario mito, i Romani la ritennero curativa, la pensarono prodigiosa, e per le sue qualità terapeutiche la chiamarono Santa.
Ecco da dove nasce il suo nome, un po’ strano, dato da quei primi entusiasti di questo sport, responsabili della successiva diffusione nel resto del nostro Paese. Il circolo però non significò solo golf, ebbe a ospitare altre manifestazioni sportive, tra cui il pentathlon, nelle Olimpiadi del 1960.
È situato all’interno del Grande Raccordo Anulare, a 3 km dal Colosseo. Lungo il percorso, quando la folta alberatura lo permette, si gode la suggestiva vista dell’acquedotto Claudio, che attraversa parte delle diciotto buche; un po’ più lontano, si erge la cupola di San Pietro. Quell’atmosfera straordinaria che aveva incantato i diplomatici inglesi, si è preservata intatta.
Ho avuto l’opportunità di giocare qui per la prima volta qualche mese fa, e posso dire di aver provato la sensazione di vivere l’ambiente di allora. Mi è stato detto, e d’altro canto la cosa si può facilmente notare, che dal 1912 anno in cui furono completate le diciotto buche, il percorso non è più stato rimaneggiato, salvo l’averne invertito la direzione. Personalmente l’ho trovato molto impegnativo, per me faticoso, per i suoi frequenti dislivelli. Segue infatti, seppur dolcemente, le naturali ondulazioni del terreno. Molto bello, ma difficile, anche nelle buche considerate facili; prendiamo ad esempio la 11, valutata dal rating la più facile, proprio hcp 18. È un par tre di soli 100 metri, ma se non sei preciso sei nei guai: È in discesa, il green è protetto come una fortezza medioevale: un ostacolo d’acqua gli sta proprio davanti, intorno un corollario di ben 5 bunker, oltre a questi, il bosco. Non bastasse c’è sempre il vento che impone una rigorosa scelta del ferro, vento che magari durante l’esecuzione del colpo, cambia d’intensità. Bisogna avere una precisione assoluta, e anche fortuna, per atterrare e restarci, su quel green velocissimo. Per non parlare poi, delle buche valutate difficili. Il fiume Almone, con i suoi piccoli affluenti crea numerosi ostacoli naturali, i fairway sono stretti, i green piccoli e sempre ben protetti.
È insomma un campo tosto, ma posso a ogni buon conto dire che mi ha affascinato la logica delle buche, anche di quelle più difficili. Sarebbe sicuramente un errore modificare quel percorso, significherebbe fargli violenza. La Clubhouse è accogliente, atmosfera vecchia Inghilterra con le pietre messe a dimora negli anni ‘30, lega perfettamente con l’ambiente che la circonda. Durante la seconda guerra mondiale non soffrì grandi disagi, salvo qualche buca che divenne orto di guerra: i tedeschi occuparono il circolo, ma lo rispettarono. Gli alleati, pur sapendo della presenza della Wehrmacht nella Clubhouse, non la bombardarono, consapevoli che si sarebbero tirati la zappa sui piedi se avessero distrutto l’unico campo da golf esistente a sud di Firenze.
Si potrà forse dire che il club vuol essere elitario, ma il fascino di alcune buche particolarmente scenografiche del percorso ripaga; infonde nel giocatore un caratteristico piacere, che trascende il buon risultato della partita. Ha un buon numero di soci, e ancor più di semplici frequentatori stranieri, a memoria degli albori del ‘900, quando era inglese la lingua usata in campo. All’epoca erano solo i portabastoni a parlare romano: numerosi ragazzi volenterosi, che riuscivano a guadagnare qualche spicciolo durante il giorno, mentre di notte praticavano anche loro, riuscendo spesso a impadronirsi della tecnica di gioco, al punto di diventare maestri. Dentro a questo magico campo, scritto in secoli di storia, il tempo sembra essersi fermato.
Paolo Pilla


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