IL VESCOVO AI SINDACI: “LA VOSTRA MISSIONE E’ FATTA DI INTEGRAZIONE E ACCOGLIENZA”


TREVISO.

Gentili rappresentanti politici ed amministratori della Diocesi di Treviso,

vi ringrazio cordialmente di aver accolto il mio invito a questo incontro per uno scambio di auguri in occasione del Natale; in particolare ringrazio che ha permesso il realizzarsi di questa bella occasione, che continua una bella tradizione di questa nostra diocesi e che per la prima volta mi vede a fare gli onori di casa.

Vorrei ripartire dall’assicurazione che ho avuto modo di farvi in occasione del vostro cordialissimo e molto gradito saluto in occasione del mio ingresso a Treviso, il 6 ottobre di quest’anno. Ho promesso infatti la mia preghiera e quella di tutta la Diocesi per voi nei vostri delicati compiti di rappresentanza e di amministrazione. Non si trattava di una parola di rito o di circostanza, ve lo assicuro.

Già per l’apostolo Paolo si trattava di un compito importante per la comunità cristiana. In un tempo di persecuzione dei cristiani, infatti, egli raccomanda “prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” (1 Tm 2, 1-2).
La vita calma, tranquilla, dedicata a Dio è garantita da chi governa anche alla comunità dei credenti, che a loro volta debbono «essere pronti per ogni opera buona» (Tt 3,1), «mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini» (Tt 3,2), consapevoli di essere stati salvati non per le loro opere, ma per la misericordia di Dio” (CDSC, 381).
Essi sono chiamati ad essere testimoni del desiderio di salvezza che Dio Padre nutre per tutti gli uomini, per ogni persona umana.

È un’espressione, questa, della cura per il bene comune che – permettetemi il gioco di parole – ci accomuna, pur nella diversità delle responsabilità e dei compiti.

Chi amministra la vita di un territorio, e soprattutto delle persone che vi abitano, deve confrontarsi quotidianamente con la concretezza del bene comune – che è vita ordinata, possibilità di crescita, direi di “fioritura” delle persone che vi vivono e dei gruppi in cui esse sono organizzate e si organizzano. Sono tante le esigenze che vi è chiesto di soddisfare, tante le richieste che vi vengono poste, siete vicini – spesso molto vicini – a chi vi dà il voto e che può vedere con una certa facilità – o almeno crede di poterlo fare – i risultati del vostro impegno. Siete parte della comunità che amministrate, dalla quale venite e alla quale tornerete. Ho talvolta l’impressione che voi siate alla vera frontiera del lavoro politico e che la conquista del vostro consenso si misuri sulla concreta capacità di dare risposte a bisogni molteplici, talvolta in competizione tra loro.

La riflessione della Chiesa su questi temi ci ricorda che per raggiungere questo risultato è necessario impiegare grande capacità e impegno, su un piano che non è meramente materiale. Non basta neppure – anche se si tratta di una dimensione fondamentale ed irrinunciabile – stilare “l’elenco dei diritti e dei doveri della persona”.

“La convivenza acquista – ci dice il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa – tutto il suo significato se basata sull’amicizia civile e sulla fraternità. Il campo del diritto, infatti, è quello dell’interesse tutelato e del rispetto esteriore, della protezione dei beni materiali e della loro ripartizione secondo regole stabilite; il campo dell’amicizia, invece, è quello del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell’altro. L’amicizia civile, così intesa, è l’attuazione più autentica del principio di fraternità, che è inseparabile da quello di libertà e di uguaglianza” (CDSC 390).

Trovo molto impegnativo ma altrettanto promettente questo richiamo alla virtù dell’amicizia, controcorrente rispetto ad alcune esperienze contemporanee, rispondente però ad un’aspirazione profonda di molti. Scomodo per un breve attimo San Tommaso d’Aquino, che ci ricorda che l’amicizia è “un rapportarsi ad altri come a sé stessi”, è amico colui o colei di cui desideriamo il bene e lo desideriamo come quello che abbiamo per noi stessi. Riconosciamo la presenza dell’amico come di un dono, nella sua differenza da noi ne riconosciamo l’uguaglianza in dignità e sappiamo profondamente che la relazione è reciproca: “amicus amico amicus”: un amico è amico per l’amico. L’amicizia civile accetta le differenze tra le persone, ne apprezza il valore, coglie lo stimolo alla convivenza che ne proviene e ha fiducia nella reciprocità. Sfida impegnativa, ma che vale la pena almeno di prendere in considerazione: la fatica che porta con sé è costituita dalla disponibilità al dialogo, la disponibilità a superare incomprensioni e contrasti, l’ostinazione alla ricerca del bene possibile; la benedizione che porta è il respiro di un’autentica convivenza, della costruzione di legami di aiuto e di stima di un mondo più vivibile e bello. È a ben vedere l’atteggiamento stesso nei nostri confronti del Signore che viene. Colui che viene ad abitare tra noi ci chiama amici, non servi (Gv 15,15), ci comunica tutta la profondità dell’amore del Padre per ciascuno di noi e per tutti. Amicizia con Dio come ultimo fondamento dell’amicizia civile fra noi.

L’amicizia civile distingue un aggregato casuale di persone, anche una temporanea o stabile comunità di interessi da un popolo. Il Natale ci viene incontro come la speranza sempre nuova di un popolo. Il profeta Isaia proclamerà ancora una volta nella notte santa:

“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1).

La luce dell’incarnazione si può riverberare anche nella vostra missione quando questa riesce, tra molte difficoltà e vincoli, a difendere e promuovere la dignità e l’umanità di tutti, partendo dai più umili e fragili contribuendo alla crescita di relazioni autentiche Tra persone e gruppi nei nostri territori.

Vorrei ancora condividere con voi tre parole che mi sono diventate care in questi due mesi di presenza alla guida della diocesi di Treviso, parole che mi sono state consegnate per così dire dal cammino sinodale intrapreso dalla nostra diocesi sotto la guida sapiente di mons. Gianfranco Agostino Gardin e che volentieri continuiamo insieme:

  • Sinodalità

  • Collaborazione

  • Discernimento

  • Sinodalità, significa cammino fatto insieme, presa d’atto nella Chiesa della responsabilità per la vita della comunità e per l’annuncio della fede di tutti i fedeli battezzati. La sinodalità è lo stile che vorremmo sempre più nella diocesi e in tutte le nostre comunità, vorremo che tutti potessero prendersi cura di tutti, che il contributo di ciascuno possa venire accolto e valorizzato per riuscire ad annunciare il Vangelo dell’amore di Dio a ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo.

  • La sinodalità è il fondamento della fattiva collaborazione, a tutti i livelli. Ecco dunque che le “collaborazioni pastorali” che richiedono lo sforzo di conoscenza, di dialogo, anche di organizzazione nuova alle nostre parrocchie non è soltanto e nemmeno in primo luogo una necessaria risposta pratica al calo di numero di sacerdoti, ma è un’esigenza stessa della sinodalità: se vogliamo camminare davvero assieme siamo chiamati ad amare il campanile, ma a superare il campanilismo, a sentirci parte di una comunità, ma membra della chiesa intera, e amici e collaboratori di molti.

  • Questo atteggiamento antico ma sempre nuovo richiede la capacità di cogliere quale sia il bene possibile da ricercare e da realizzare insieme, in questo cammino comune di collaborazione. Ed ecco la riscoperta della terza parola – dono: il discernimento. È una parola che papa Francesco ha rimesso al centro della riflessione e della prassi della Chiesa intera e che sfida e motiva sempre di nuovo anche le nostre riflessioni, i nostri giudizi, la nostra prassi. “Il Verbo incarnato entra nella storia e la trasforma, agendo attraverso le scelte libere degli uomini e delle donne che gli danno ascolto. A che cosa ci sta chiamando? Qual è il tratto distintivo della sua voce, il gusto che imprime alla vita di chi lo segue? Il discernimento è così innanzitutto un modo di procedere nella propria vita seguendo la voce dello spirito” (Giacomo Costa, Il discernimento, Roma San Paolo, 2018, 8). Questo discernimento è necessario a livello personale, per decidere le scelte individuali importanti, per essere protagonisti attivi della propria vita e non seguire pedissequamente le masse, ma anche a livello comunitario in cui “gruppi comunità ed istituzioni devono individuare in che direzione procedere per accogliere la vita e costruire il bene comune. Questa dinamica si basa sulla fiducia che ‘in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare’” (Giacomo Costa, Il discernimento, 20).

  • Vi ho presentato in breve tre parole che stanno guidando la chiesa di Treviso nel suo cammino a servizio del bene comune. Forse possono esservi di aiuto. Mi fa piacere condividere con voi la cura, le preoccupazioni e la speranza che anima tanti cittadini trevigiani nel loro servizio nella Chiesa.

    A tutti consegno, per concludere, alcune parole che il Santo papa Giovanni XXIII ha regalato alla Chiesa nella sua Enciclica sulla pace nel mondo, Pacem in terris, nel 1963, in tempi difficili e gravi della storia dell’umanità. Sono parole ispirate, ma le cito anche con un certo orgoglio trevigiano, perché l’autore che più ha aiutato il papa nella concezione e nella stesura di questo testo ancor oggi profetico è stato mons. Pietro Pavan, che nacque a Povegliano nel 1903, e che dal 1933 al 1946 insegnò nel nostro seminario diocesano.

    « La convivenza umana – scrive il Papa – deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante ». (Giovanni XXIII, Enciclica Pacem in terris, 266).

    E’ questa convivenza civile, questa amicizia civile che auguro a voi e a tutti noi di servire e di realizzare, ciascuno con le sue responsabilità; che questo sia il sincero augurio di Buon Natale che rivolgo a voi, alle vostre famiglie, a tutte le vostre comunità.


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