Indipendentismo veneto e catalano, fallimenti di successo

Vicenza – Intervista al veronese Vittorio Selmo, avvocato, portavoce di “Stato Veneto”, Movimento Politico-Culturale per l’autodeterminazione del Veneto, libero, sovrano, e indipendente. 

Avvocato, parafrasando Leo Longanesi, gli indipendentisti veneti sono come gli italiani: vogliono fare la rivoluzione ma con il permesso dei carabinieri. In fondo se lo meritano. Vuole dissertare su questo paradosso?

In questo sono gli epigoni di Giordano Bruno che già a fine ‘500 dichiarava sconsolato: «Chiedere al potere di riformare il potere… Che ingenuità!», perché un potere non si riforma: si sostituisce con un altro, e basta. È una questione di realpolitik. Lo spirito del nostro Movimento è quello di non dimenticare nessuno, di non lasciare alcuno indietro nemmeno nel campo delle idee. Per esempio, l’uguaglianza non ha niente a che vedere con l’omologazione, l’omologazione ne è l’opposto, è schiavitù. Bisogna costruirci sopra un’idea nuova di Paese, che va dalla transizione energetica, a infrastrutture moderne, sicure, e a nuovi investimenti produttivi. La soluzione per noi è sempre politica: bisogna creare forme nuove di creatività politico-culturale. Non c’è altra via. In questo senso abbiamo abbozzato un testo di nuova Costituzione confederale che è aperta alla discussione, e all’implementazione da parte di tutti. 

La partecipazione nella Costituzione federale della Confederazione dei Territori Veneti, specificatamente diversa e dissimile da quella italiana, rende diverso e di natura differente anche lo Stato Veneto. L’esperienza dell’annessione all’Italia per noi Veneti è stata criminale, devastante, di rapina reiterata e continuata ancora oggi, nefanda sotto ogni profilo, e negativa del nostro diritto di vivere una vita degna di essere vissuta. In questa bozza si prevede il superamento della partitocrazia, si prospetta una politica e una difesa di militanza, l’esercizio della democrazia rappresentativa con il controbilanciamento (check and balance) e la deterrenza esercitabile con la democrazia diretta come in Svizzera, l’introduzione della scelta dei pubblici amministratori per mezzo del sorteggio. E per quest’ultimo aspetto non andrò a dettagliare, visto che il vostro giornale ha già trattato l’argomento qui.

Allora voi non siete attratti dalla partecipazione alle elezioni politico-amministrative italiane?

È un fallimento di successo. A ben vedere sono circa 35 anni che i veneti, con l’intento d’ottenere prima l’autonomia e il federalismo hanno avuto successo, e hanno eletto Europarlamentari, Onorevoli, Senatori, Consiglieri regionali, provinciali e comunali, senza realizzare alcun risultato e quindi fallendo. Nel 2015 alla Regione Veneto hanno avuto successo eleggendo un Consigliere sedicente indipendentista, ma hanno fallito considerato che in pochi mesi si è “messo in proprio” con argomentazioni etico-morali assai singolari (si veda qui). Ma soprattutto chi si candida alle elezioni avvalora il sistema dei partiti legittimando l’occupazione italiana, perché vi riconosce l’effettività del relativo ordinamento politico rappresentativo. È tutto il sistema che va cambiato. Del resto basta constatare come il M5s abbia ottenuto un ampio consenso elettorale, ma quando è arrivato nella stanza dei bottoni non può realizzare tutte le promesse che ne hanno determinato il successo.

In queste ultime settimane è nata “Asenblèa Veneta”, un soggetto politico che conta alcuni autorevoli cattedratici e che dichiara: «3. Nessuna carica in AV è compatibile con cariche politiche all’esterno, pubbliche o private». Molti indipendentisti auspicano che questa organizzazione diventi una sorta di Intelligencija Veneta svincolata dal sistema partitocratico. Qual è il vostro pensiero?   

È un linguaggio generico e sornione. Si afferma solo che AV in quanto tale non accetta persone con il doppio incarico e: punto 1. «…non sarà mai un soggetto elettorale», ma questo non significa che ai suoi aderenti è vietato partecipare alle elezioni italiane, né che AV si asterrà eventualmente dal sostenerlo. AV dice di non essere un partito; si mette l’abito dell’indipendentismo; ma i suoi componenti che si candidano nei partiti che concorrono alle elezioni italiane sono funzionali al sistema “rappresentativo”. Sono quindi parte del centralismo italiano, per definizione affossatore dell’autodeterminazione dei Territori Veneti. Insomma, non si può servire due padroni. La lealtà verso l’indipendenza impone una decisa, trasparente, e non equivoca scelta di campo.

Ma dichiarano di adottare la forma organizzativa dell’ANC (Assemblea Nazionale Catalana)?  

Per rispondere trovo utile una similitudine: noi indipendentisti veneti guardiamo alla Catalogna nello stesso modo in cui guardiamo a certi smisurati dipinti di grandi artisti. Da lontano ne ammiriamo il colore e la composizione generale, ma appena ci avviciniamo alla tela scopriamo in quali sbavature e difetti è incorso il maestro.

I veneti guardano alla Catalogna con questo occhio strabico; infatti lì c’è da decenni un’autonomia che nemmeno strofinando la magica lampada di Aladino otterranno mai. Solo per fare qualche cenno: hanno da decenni una Università catalana, e alcuni mezzi d’informazione nella loro lingua. La Generalitat de Catalunya ha l’autorità sui Mossos d’Esquadra o Polizia regionale, rifondata nel 1983 con una legge del Parlamento de Cataluña, come polizia autonoma con competenze integrali di polizia. Oltre ad avere da lungo tempo la maggioranza nella Generalitat, ce l’hanno anche in circa 600 dei 900 Comuni della regione, e altri vantaggi competitivi che sarebbe troppo lungo elencare. Un successo, e malgrado ciò hanno fallito: non hanno ancora ottenuto il consenso elettorale della maggioranza degli aventi diritto al voto della regione.

Un fallimento di successo è Jordi Pujol, che ha una storia politica molto simile a Umberto Bossi: nel 1974 fondò il partito Convergenza Democratica di Catalogna, del quale fu il primo segretario. A capo della coalizione Convergencia y union, fu eletto presidente della Generalitat de Catalunya per la prima volta il 24 aprile 1980, per poi essere rieletto ininterrottamente nel 1984, 1988, 1992, 1995 e 1999. Si ritirò nel 2003, cedendo la leadership del partito ad Artur Mas, che è stato il 129º presidente della Generalitat.

Ma questo successo di Jordi Pujol è diventato un fallimento. La famiglia Pujol-Ferrusola ha ottenuto un “vantaggio economico ingiustificato” di 69 milioni di euro nei suoi conti in Andorra dal 1990. In un rapporto di 102 pagine, la polizia ritiene che le dinamiche di nascondere i soldi della famiglia Pujol si inseriscono in un delitto di organizzazione criminale, e “come un gruppo organizzato stava sviluppando un’attività asseritamente illegittima” condotto dal primogenito, Jordi Pujol Ferrusola (che è andato in prigione). Dopo aver analizzato tutte le operazioni, la Polizia conclude che dal 1990 “la famiglia agiva come un gruppo organizzato, finalizzato all’apertura di conti bancari in un territorio fiscalmente protetto per nascondere denaro di origine sconosciuta e presumibilmente illecita”. 

Artur Mas, delfino di Pujol, è il politico più attaccato del momento: “è sufficiente digitare il suo nome nella rete per osservare fino al 75% dei link dannosi e notizie indicizzate nelle prime 100 posizioni”. La corruzione che non può nascondere nessuno è stellare. La sfida per l’indipendenza catalana sta nascondendo i casi di corruzione che perseguitano coloro che erano i principali responsabili del predominante partito del governo catalano. 

Carles Puigdemont, successore di Artur Mas, è l’ex presidente catalano deposto e fuggitivo, ha proclamato l’indipendenza e ha perso l’autonomia. Per gli irredentisti è più dignitoso Oriol Junqueras che parla dal carcere (qui, quiqui). Insomma, osservata nel suo complesso la vicenda catalana ci sembra un fallimento di successo, che non sembra vantaggioso imitare.

Eppure la situazione internazionale con le manifestazioni dei Gilet Jaune, e altri loro omologhi in giro per l’Europa, sembra favorevole all’indipendenza?

Tra le tante analisi che si possono reperire nei mass-media e in rete, prendiamo quella di Federico Dezzani: «Iniziamo col chiederci: chi sta gestendo il processo di autonomia-secessione mascherata? Come evidenziammo in tempi non sospetti, la Lega Nord, da cui provengono i governatori Zaia e Maroni, è un soggetto politico squisitamente atlantico, nato per acuire e accompagnare la crisi della Prima Repubblica, culminata col maxi-processo di Tangentopoli e l’affossamento del Pentapartito. Un prodotto genuinamente angloamericano (ma forse più britannico) è il Movimento 5 Stelle, come dicevamo, benedetto dall’ambasciata di Via Vittorio Veneto e anche l’attuale governo “populista”. Si può pertanto dire che Londra e Washington stiano supervisionando l’iter di separazione del (centro?)nord-Italia dal (centro?)sud-Italia.»

Da queste parole si vede benissimo che non sarà l’autonomia farlocca che otterranno i veneti dallo Stato italiano, né servirà loro eleggere rappresentanti in Regione Veneto, o imitare fallimenti di successo come quello catalano. Secondo la nostra sommessa opinione: più accortamente i veneti (compresi i cattedratici di “Asenblèa Veneta”) dovrebbero operare come una sorta di Intelligencija Veneta svincolata dal sistema partitocratico italiano, prefigurando già da adesso come diventerà e a chi farà capo la loro indipendenza. 

Enzo Trentin

vicenzareport.it

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