ARRESTATI AUTORE E MANDANTE DEL ROGO ALLA CARROZZERIA

L’ombra della Mala del Brenta dietro all’incendio
TREVISO – Ci potrebbe essere l’ombra di quel che resta della Mala del Brenta dietro all’incendio della Carrozzeria Roggia di Treviso. L’officina, con diverse auto all’interno, è stata quasi completamente distrutta dalle fiamme nella notte del 10 giugno scorso. Oltre 600mila euro i danni, fin da subito è apparsa evidente la matrice dolosa del fatto. Ora i poliziotti della Squadra Mobile trevigiana hanno arrestato i presunti esecutore materiale e mandante del rogo. Il primo è Jonathan Causin, 38 anni, di Quarto d’Altino, il quale, in realtà, si trovava già in carcere a Venezia da un paio di mesi per altri reati. Avrebbe dato fuoco all’azienda, in cambio di 3mila euro pattuiti con Bruno Tommasini. Di Venezia, 74 anni, anch’egli con diversi precedenti e con legami con la malavita dell’entroterra luganare, ora si trova nella casa circondariale di Treviso.
Ancora aperte le ipotesi sul movente: le indagini, coordinate dalla pm Anna Andreatta, non sono ancora concluse. Come spiega Claudio Di Paola, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Treviso, nelle ultime ore sono state eseguite numerose perquisizioni nei confronti di persone che potrebbero risultare coinvolte a vario titolo, per appurare se esista un ulteriore livello al di sopra dei due arrestati.
Gli investigatori si sono basati soprattutto sull’analisi delle immagini delle telecamere di videosorveglianza e sulle utenze telefoniche. I filmati mostravano un’auto muoversi a fari spenti nelle vie intorno alla carrozzeria. Dai dati telefonici, invece, è emerso un cellulare prima connesso vicino alla ditta all’ora dell’incendio, poi agganciato dalla cella nei pressi del pub Colonial Inn di Silea. Gettati in una siepe parcheggio del locale, i poliziotti hanno trovato i vestiti, la tanica e alcuni rotoloni di carta imbevuti di liquido infiammabile, usati come innesco, di cui Causin ha tentato di sbarazzarsi. Da lì, poco dopo aver appiccato le fiamme, il 38enne ha fatto anche una chiamata, probabilmente per avvisare di aver compiuto la missione: nonostante i telefoni fossero intestati a prestanome, gli inquirenti sono risaliti fino a Tommasini. Sui due pendono accuse di incendio doloso e danneggiamento.
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